Al Palazzo di Giustizia di Torino, sono state depositate le 500 pagine delle motivazioni della sentenza Thyssenkrupp per la morte dei sette operai morti il 6 dicembre 2007, della condanna dell'ad Herald Espenhahn a 16 anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario e delle condanne di Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Daniele Moroni, per omicidio colposo.
Si legge "Espenhahn era perfettamente informato e pienamente consapevole sia del processo di lavorazione sulla linea 5" ma "ha omesso qualsiasi intervento di 'fair prevention' nello stabilimento". Per i giudici, dunque, l'amministratore delegato della ThyssenKrupp decise di "non fare nulla".
"Il quadro complessivo induce la Corte a ritenere che certamente Espenhahn, così come contestato, si fosse 'rappresentata' la concreta possibilità, la probabilità del verificarsi di un incendio, di un infortunio anche mortale sulla linea 5 di Torino; e che, altrettanto certamente, omettendo qualsiasi intervento di 'fair prevention' in tutto lo stabilimento e anche sulla linea 5 e anche nella zone di entrata della linea 5, ne avesse effettivamente accettato il rischio".
Per i giudici comunque, Espenhahn, merita "il minimo della pena". A favore hanno pesato gli indennizzi ai familiari delle vittime e il comportamento tenuto in aula quando è stato interrogato. Proprio in quell'occasione, infatti, Espenhahn ha "riconosciuto il suo ruolo di datore di lavoro" senza negare lo "stretto controllo" che esercitava sullo stabilimento torinese ma ha anche "rivendicato a sé la decisione di non effettuare alcun intervento di 'fire prevention'". "Espenhahn ha indicato due fattori sui quali confidava ('sperando') che nulla accadesse: la presenza sulla linea 5 di Torino di un impianto antincendio a protezione della sala pompe e la capacitò dei suoi collaboratori di Torino. La Corte ritiene che questi due fattori non rendano purtroppo 'ragionevole' la speranza di Espenhahn", "non può certo una persona competente come Espenhahn ragionevolmente confidare solo su di un impianto, neppure a bordo linea. Anche l'altro fattore indicato da Espenhahn è privo di ogni consistenza: la competenza, l'attenzione, la preparazione dell'ad anche in questa materia impediscono di ritenere che potesse razionalmente 'confidare' nelle capacità dei suoi collaboratori di Torino, tra l'altro in un momento sempre delicato, come quello della dismissione di uno stabilimento; collaboratori che non disponevano di alcun potere decisionale autonomo".
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