Giuseppe Michele Vietti, vicepresidente del Csm, in occasione della commemorazione per il 31° anniversario della morte di Vittorio Bachelet interviene sulla crisi istituzionale e sui rapporti fra magistratura e politica: "La magistratura non coltiva 'finalità eversive', ma svolge una funzione silenziosa di applicazione delle regole", "non si coglie ancora il clima politico per riflessioni serene ed equilibrate su snodi istituzionali".
Queste parole hanno innescato un botta e risposta con il ministro Alfano che ha detto: "Vittorio Bachelet è un eroe della nostra repubblica, io oggi ho sentito tante parole su Berlusconi, senza mai citarlo, e poche parole sui terroristi che uccisero Bachelet".
Al ministro replica Vietti: "Non credo che Alfano mi abbia criticato, ma se così fosse gli manderò il testo scritto nel mio intervento".
Probabilmente le parti del discorso di Vietti che non è piaciuta al guardasigilli sono le seguenti: la politica "ondeggia periodicamente tra il delegare alla magistratura il compito di sciogliere i nodi che non sa o non vuole affrontare, e il lamentarsi dell'eccessiva ingerenza della giurisdizione e dell'eccessiva discrezionalità dell'attività interpretativa del giudice. La magistratura deve rifuggire questa falsa alternativa e fare il proprio dovere con autonomia, imparzialità, riserbo e professionalità". "La magistratura è al centro dell'attenzione ed è pervasa da un profondo malessere, oggetto com'è di quotidiani attacchi anche da parte di chi, per ruolo istituzionale, dovrebbe preoccuparsi di evitare la reciproca delegittimazione. Mi vedo costretto ancora una volta - e il richiamo non stona con l'occasione in cui ci troviamo e con l'occasione che stiamo celebrando - a ribadire che la magistratura non coltiva 'finalità eversive', ma svolge una funzione silenziosa di applicazione delle regole; le vere finalità eversive erano quelle del terrorismo degli anni '70 ed '80, per opporsi alle quali la magistratura, come Bachelet, ha pagato un alto tributo di sangue".
"Quella di oggi - ha continuato il vicepresidente del Csm - è certo una tensione incruenta, ma non meno insidiosa. Credo che per orientarsi in questo clima occorra rifarsi proprio all'impostazione di Bachelet che, come ha recentemente ricordato il Capo dello Stato 'è una personalità straordinaria che ha dato un grandissimo contributo sia alla cultura giuridica che alla vita pubblica e morale del Paese e dal cui esempio abbiamo ancor molto da attingere'. L'attualità del pensiero di Bachelet si compendia nel suggerimento a guardare avanti, tipico di un uomo che del confronto e della paziente opera di ascolto, anche delle opinioni diverse dalle proprie, ha fatto una ragione di vita e - ahimè - anche di martirio; a cercare di avere come obiettivo il dialogo; a tentare di mettere la giustizia in condizioni di operare per il bene comune; ad evitare che il pregiudizio e l'ostilità creino steccati insormontabili. Sono questi precetti che tutti noi, anche oggi, dovremmo sforzarci di attuare. La cronaca di questi giorni, purtroppo, testimonia che siamo ben lungi da questo obiettivo. Mi riferisco, in particolare, alle inafferrabili proposte di riforme costituzionali su alcune delle problematiche di politica giudiziaria più delicate e controverse, fra le quali spiccano i temi della c.d. separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri e della creazione di due distinti Csm".
"E' innanzitutto inevitabile constatare che non si coglie ancora - nè sembra prossimo - il clima politico per riflessioni serene ed equilibrate su snodi istituzionali di tale delicatezza e centralità dell'attuale impianto costituzionale. La nostra Costituzione è stata frutto di un progetto largamente meditato e condiviso. Ovviamente ogni soluzione può essere posta in discussione e modificata - è proprio della politica questo compito - ma per sostituire un progetto meditato e condiviso occorre un altro progetto, non meno meditato e condiviso". "La nostra Costituzione - continua Vietti - ha collocato nell'ordine giudiziario, rendendolo compartecipe della funzione giurisdizionale, come previsto in particolare dall'art. 102, comma 1, Cost. Nel nostro ordinamento costituzionale e, direi, nella nostra antica cultura giuridica, il pm è posto all'interno della magistratura e partecipa dell'autonomia e dell'indipendenza da ogni altro potere dello Stato dell'ordine cui appartiene. Esso è coerentemente sottoposto al controllo ed al governo del Csm, al pari dei giudici. Anche attraverso l'unicità del Csm, il pm è ricondotto, dunque, a un ruolo di garante del rispetto della legge e della legalità e condivide con la magistratura giudicante la cultura della giurisdizione, la professionalità, la formazione, la deontologia. Ovviamente ciò comporta che il pm sia consapevole di questa funzione di garante della legalità tanto nella fase delle indagini e nel rapporto con la pg, quanto all'esercizio dell'azione penale. La tenuta del pm sul terreno del rispetto della legge e delle garanzie dei diritti dei cittadini non è innata e perpetua per il solo fatto che chi ricopre questo ruolo ha sostenuto un concorso selettivo; è piuttosto strettamente legata alla condivisione con la magistratura giudicante della comune cultura della giurisdizione".
"Al di fuori di questo circuito, con un'evidente eterogenesi dei fini degli aspiranti riformatori, il pm cadrebbe facile preda di logiche del tutto autorefernziali o di contingenza politiche altrimenti non evitabili, quanto meno nel lungo periodo, con la conseguenza che non potrebbe che porsi seriamente, presto o tardi, il problema del suo controllo. E' chiaro che nessun sistema è privo di limiti e di controindicazioni e neppure il nostro fa eccezione. Non intendo nascondere che, in punto di tenuta del rispetto delle garanzie e della cultura della giurisdizione da parte del pm, non sono mancati in passato cedimenti, sui quali la magistratura per prima deve riflettere e intervenire per evitare che intervenga la politica con soluzioni penalizzanti. Qui si gioca il ruolo decisivo del Csm, che della magistratura è non solo il baluardo, ma il governo. Tuttavia credo che il sistema complessivamente tenga, sia vitale e meriti di essere difeso. In questo contesto, comunque, fuori da sterili contrapposizioni, non posso non cogliere l'occasione per ribadire la centralità della giurisdizione. La giurisdizione fa capo ad un corpo di magistrati a cui la Costituzione affida consapevolmente la funzione più alta: quella di incarnare il volto stesso dello Stato di diritto, di rendere le formule della legge fonte di protezione effettiva dei beni e degli interessi e strumento di tutela dei più deboli".
"L'evidenza dei nostri giorni spiega quanto sia importante la conservazione di questo valore. Si tratta di una funzione essenziale: in qualche modo la garanzia vera della coesione sociale. Non vi sono succedanei a questa funzione. La giustizia è amministrata dai giudici e ad essi e alla loro funzione si deve rispetto, un rispetto talora acritico, ma non va dimenticato che è il processo, il suo esito, il momento nel quale la legge diventa regola del caso concreto: non è circostanza priva di significato. Insomma, il potere giudiziario è Spada e Bilancia, secondo una raffigurazione antica e carica di significati, anche per le sue potenziali contraddittorietà: ove la forza evocherebbe l'arbitrio, invece la bilancia segna il giusto".
"Difendere la funzione giurisdizionale e il ruolo della magistratura è essenziale: le polemiche non devono mai farlo dimenticare, anche se le polemiche non devono diventare alibi per giustificare inadeguatezze e cadute, quando ci siano. Purtroppo, però, nel nostro Paese la politica ondeggia periodicamente tra il delegare alla magistratura il compito di sciogliere nodi che non sa o non vuole affrontare, e il lamentarsi dell'eccessiva ingerenza della giurisdizione e dell'eccessiva discrezionalità dell'attività interpretativa del giudice. La magistratura deve rifuggire questa falsa alternativa e fare il proprio dovere con autonomia, imparzialità, riserbo e professionalità. La politica con la P maiuscola, quella capace di elaborare idee e visioni complesse delle cose, suscettibili di trovare ampie condivisioni e di durare nel tempo, dovrà pur un giorno tornare. Speriamo che questo giorno non tardi, perché la giustizia non può aspettare ancora a lungo".
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