sabato 10 ottobre 2009

"LA SCUOLA RITORNI A EDUCARE" DI PIER LUIGI CELLI (Il Sole 24 ore del 08/10/2009, pag. 25)


Ho pensato di proporre l'analisi "La scuola ritorni a educare" di Pier Luigi Celli apparsa su 'Il Sole 24 ore' di giovedi 8 ottobre 2009.

C'è un equivoco di fondo, che non sembra attingere il livello della coscienza collettiva se non nella sua versione riduttiva: ed è che gran parte dei guai del nostro modello sociale dipenda oggi dalla crisi in cui versa il sistema di istruzione del paese.
Si è cioè legittimato un giudizio che vede nel decadimento dei processi scolastici (dalle strutture agli uomini, passando per l'approssimazione nell'adeguamento dei programmi e della didattica relativa) la fonte di ogni squilibrio nell'acquisizione delle competenza spendibili poi a livello di eccellenza.
Noi crediamo che il problema, così impostato, sia fuorviante.
Anche volendo prescindere da quanto il merito scolastico consenta di ipotecare una sua lineare traduzione in prospettive lavorative, e trascurando la risibile sottolineatura del valore salvifico di un uso generalizzato dei test, resta però il tema di fondo: il valore del percorso scolastico è dato dalle conoscenze, dalla loro qualità e dal rigore con cui vengono sistematizzate, o c'è qualcosa di più "largo" che sfugge e indebolisce fortemente l'assetto della nostra struttura formativa? Il punto centrale, intorno al quale si è annodato finora il dibattito, è sulla scadente qualità delle conoscenze trasmesse. Quello che sembra sfuggire alle analisi (e alle recriminazioni) è che la nostra scuola - università compresa - è fortemente decaduta su un altro terreno ben diversamente fondamentale: quello, cioè, della educazione tout court. Educare è, in senso pieno, attività formativa per eccellenza; qualcosa che ha a che fare più con lo spirito del "maestro" che del "professore". Ed è appunto alla scarsità di "maestri", alla scomparsa delle passioni sociali e civili che questi sanno interpretare, che si deve questa decadenza della scuola che finisce con l'intaccare anche i livelli di istruzione.
Se volessimo capire veramente perchè il nostro sistema scolastico ci lascia insoddisfatti, più che prendercela con gli addetti ai lavori, dovremmo considerare il declino delle aspettative indotto da un degrado ben più rilevante: quello che coinvolge gli altri sistemi di riferimento, dalla politica alla società civile, dalle modalità di sviluppo delle carriere alla arbitrarietà dei sistemi premianti. In sostanza, stiamo chiedendo al mondo dell'istruzione qualcosa che non ha quasi corrispettivo nei mondi che deve servire.
E questo, alla lunga, ha spento ogni considerazione per quanto, attorno alla crescita e alla trasmissione di conoscenze in altri tempi, si era andato costruendo in altri tempi, come impegno lavorativo meritevole di onore. Tanto più strategico quanto più in sofferenza stavano entrando i modelli di aggancio tra scuola e vita. Quello che i giovani non si aspettano più, all'interno della scuola, e che invece sarebbe dirimente per aprire loro testa e cuore, è il gusto della ricerca e della discussione; il confronto aperto e lo spirito di una avventura culturale che torni a parlare di (e far sperimentare) temi in gran parte obsoleti: l'attitudine al rischio, il bisogno di libertà; l'accettazione della diversità e dell'anticonformismo che aiuta a misurare la distanza tra aspettative e realtà ordinaria, consentendo ad ognuno di sostenere la crescita della propria dotazione immunitaria.
Ridurre il problema della scuola ad una semplice questione di efficienza nei processi di istruzione o di affinamento di strumenti operativi è una forma, neppure troppo elegante, di impoverire il tema, dimenticando che non basta accumulare conoscenze, fors'anche di pregio, per restituire al tessuto sociale una propensione vera a coltivare il proprio futuro in maniera esigente.
La conoscenza entra in un universo di senso, per chi la deve acquisire, se c'è qualcuno che riesce a far capire il suo uso possibile, l'utilità non solo strumentale che questa può rivestire; le connessioni con il resto degli interessi e delle aspirazioni individuali. Così cresce il capitale sociale, come dotazione spendibile: declinando i modi, le forme e i contenuti del sapere in funzione della ricchezza della propria biografia piuttosto che orientati alla giustezza del curriculum.
Serve, in definitiva, un ritorno al gusto e all'esercizio del pensiero; e non solo in termini produttivi, come avviene con l'ossessione di razionare il tempo per non perdere la battuta della carriera.
Il giro ampio della cultura richiede, come evidente, investimenti supplementari che non sono, in prima battuta, economici; "educare" sollecita connessioni con un altro tipo di ricchezza e ha a che fare con la voglia di coltivare il futuro, forse proprio come risposta alla pochezza del presente. Perchè allora intristirci in operazioni di retroguardia?
L'autore è direttore generale dell'Università Luiss - Guido Carli
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